7 settembre 2025, Festival  SCORRE a Bondeno

Verso la felicità. Lavoro e ozio nella contemporaneità

Il filosofo del lavoro Giovanni Mari in dialogo con Gilda Morelli

 

Più che definirla, “la felicità” la si prova. E ciascuno la vive a modo suo.

Eppure, il pensiero di filosofi e delle scienze sociali in generale aiuta ad orientarci in questo vasto oceano di possibilità.

Come ricordava Domenico De Masi, “la felicità non è una marcia solitaria”: non si può essere felici da soli. Essa si costruisce nella storia, nel lavoro e soprattutto nelle relazioni umane. La questione è come la felicità possa legarsi ad attività come il lavoro e l’ozio, i due tempi principali della nostra vita. Per una società in cui, statisticamente, il tempo liberato dal lavoro è assai aumentato - anche se non per tutti i lavori ma tenderà ad aumentare per tutti e non solo per pochi - si pone il problema di una nuova idea di ozio, e non solo di lavoro.

Da qui è nato il dialogo tra il professor Giovanni Mari, filosofo del lavoro con una lunga esperienza di ricerca sul tema, e Gilda Morelli. Nella cornice della Rocca Possente di Stellata a Bondeno, insieme hanno riflettuto su lavoro, non lavoro e su quel tempo liberato dal lavoro che non è “tempo libero”, ma ozio. Ozio non come madre e padre di tutti i vizi, bensì come spazio attivo e creativo: una occasione per ritrovare senso e significato della vita. Da questo spazio nuovo forse può germogliare la felicità. Lo sguardo sociologico ha offerto il contesto, un quadro dei cambiamenti in atto, mentre la filosofia ha indicato un percorso interpretativo verso la ricerca della felicità. Si è parlato della possibilità di coltivare la felicità in un mondo dove il tempo di lavoro e quello liberato dal lavoro risultano spesso svuotati di significato, forse proprio a causa di un eccesso di “riempimento” imposto dal consumismo e dalla mercificazione, a volte, persino delle relazioni umane.

Mari ha raccontato la sua idea di ozio sostenendo che la maniera in cui la cultura greca antica affronta la questione costituisce il paradigma da cui non si può prescindere. Un punto di vista teorico e culturale per porci i problemi essenziali nonché i termini per valutare, per differenza, ciò che riteniamo costituisca un mutamento rispetto a tale paradigma.

E’ la cultura classica che ci ha insegnato a ricercare la felicità nell’ozio. Attraverso Omero, Esiodo e Aristotele, ci ha declinato il concetto di ozio in tre versioni positive ed una negativa: quelle di un tempo di non lavoro finalizzato all’«allegria» (sofrosine), in Omero; di una capacità, donata dalle Muse, a comporre poesia nella sospensione del lavoro manuale, in Esiodo; e alla «felicità» (eudaimonia) in Aristotele. Corrispondentemente, in Esiodo, un’idea negativa dell’ozio come «inoperosità» (argia) quando la virtù (aleteia) è invece costituita dal lavoro.

Contemporaneamente nella Genesi si avanzava un’idea di «riposo», anziché di ozio, rappresentato dal tempo di non creazione del Signore dopo sei giorni di attività, che si pone in successione col lavoro faticoso e necessario la cui sofferenza è accettata dall’uomo in nome del riconoscimento della pena divina. In questo quadro spiccano l’idea di Esiodo che il lavoro richiede che la «giustizia» (dike) si affermi nella società affinché i frutti del lavoro non siano sottratti a chi lavora, ciò che il poeta chiede direttamente a Zeus, e l’idea di Aristotele che una felicità stabile (eudaimonia) consista nella realizzazione del daimon dell’uomo identificabile nella parte più elevata della sua anima, l’«intelligenza» (nous). La vita dedicata alla «teoria» (bios theoretikos) quindi costituirebbe la vita più felice possibile, ovvero il lavoro intellettuale come autorealizzazione delle capacità umane più elevate.

In Esiodo la felicità consiste nella sicurezza economica che il lavoro fornisce al contadino esperto del lavoro dei campi e delle leggi della natura, il quale grazie alle sue abilità e alla buona volontà ha la casa colma di beni ed è quindi in grado di affrontare le avversità naturali.

Se in Esiodo il benessere è dato dal lavoro manuale e dalla sintesi, rappresentata da Esiodo stesso, tra il lavoro manuale e l’attività poetica donata dalle Muse; se in Aristotele l’«ozio» (schole), cioè l’allontanamento dalle preoccupazioni quotidiane, permette di concentrarsi nelle attività intellettuali determinando l’idea di un ozio attivo e creativo (il latino otium) che si contrappone al lavoro manuale, non libero perché determinato da finalità esterne, per cui l’ozio è un’attività privilegiata di autorealizzazione dei ceti che non svolgono lavoro manuale; e se nella Genesi il lavoro manuale viene valorizzato al prezzo dell’accettazione perenne del suo sacrificio, allora forse la possibilità di realizzare un nesso positivo tra felicità e lavoro - in una attività che non sia il privilegio di un dono della divinità o la conseguenza di una condizione sociale privilegiata - risiede nella capacità del lavoro di essere l’autorealizzazione di una vocazione personale che si attua in un’attività liberamente scelta e democraticamente accessibile.

Possiamo dire che nei secoli che ci dividono dal quadro che abbiamo delineato il lavoro è andato in questa direzione? Nell’attuale transizione in cui si trova il lavoro postfordista ci sono potenzialità concrete che fanno del lavoro un’attività più libera e fondata sempre di più sulle personali abilità cognitive.

Le imprese innovative hanno sempre più bisogno dell’autonomia e della creatività dei dipendenti: la persona viene riproposta nel lavoro una volta solo ripetitivo e parcellizzato. Se questo processo procederà in maniera positiva si potrebbe addirittura intravedere un assottigliarsi delle differenze tra lavoro e ozio attivo o creativo anziché un riaffermarsi delle contrapposizioni storiche tra lavoro manuale e intellettuale, tra arti meccaniche e arti liberali, tra ozio e lavoro. Decisivo sarà come verrà indirizzata la tecnologia della AI, se finalizzata alla sostituzione del lavoro oppure se a un potenziamento e una espansione delle capacità e delle mansioni del lavoro umano.