
30 maggio 2025, ore 16:00
LA RICERCA DELLA FELICITA'. Lavoro, cultura, educazione nel tempo liberato
Università La Sapienza, Centro Congressi - via Salaria 113, ROMA
Cuore dell'incontro la riflessione sulla relazione, complessa e contraddittoria, tra lavoro e felicità. Domenico De Masi, nella sua "La felicità negata", ha svelato come il modello economico di matrice neoliberista, fondato sulla distribuzione iniqua di ricchezze e opportunità, persegua l'infelicità. La metamorfosi del lavoro in atto, incalzata dalla forza trasformativa del digitale e dall'avvento dell'intelligenza artificiale, apre nuove sfide e possibilità, invitandoci a esplorare modelli sociali e culturali volti all'affermazione della felicità. Per preparare vecchie e giovani generazioni al tempo liberato; per educare tutte e tutti alla prospettiva della felicità.
I TEMI DI RIFLESSIONE
A Roma il 30 maggio 2025 in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali ed economiche de La Sapienza si è svolto un primo dialogo interdisciplinare sul senso del lavoro, del tempo da esso liberato e della vita buona e piena che tende alla felicità.
In un tempo segnato da incertezza sistemica, trasformazioni profonde del lavoro e crisi di senso, il tema della felicità trova valore nel suo significato sociale. Difficile essere felici da soli.
Per questo, l’incontro di AUREA STUDIUM ha proposto un dibattito interdisciplinare coraggioso e necessario, mettendo al centro la domanda:
è possibile immaginare di ricercare la felicità in questo mondo nuovo dove lo spazio liberato dal lavoro può essere riempito, anziché di mercificazione, di senso e significato pieno attraverso il concetto di ozio creativo?
Il dialogo ha coinvolto economisti, sociologi del lavoro, filosofi e studiosi delle trasformazioni sociali, ma anche artisti, in un tentativo condiviso di restituire alla felicità la sua dignità epistemica e politica: non come ideale ingenuo, ma come categoria critica capace di interrogare modelli economici e sociali, strutture lavorative, visioni del tempo e forme di convivenza.
Una felicità che si costruisce nella storia, nel lavoro e nella relazione umana
L’apertura con il film il Coupon della Felicità ha dato l’opportunità di inquadrare i nostri tempi partendo da una riflessione importante attraverso le immagini dei primi supermercati nell’Italia del secondo dopoguerra. Un modo per riflettere: il contesto odierno ha origine in quel momento storico? Il protagonista del film, in una Roma estiva accaldata, insegue una raccolta punti di un supermercato per ottenere qualcosa che neanche gli serve. Nella sua breve avventura cittadina, tra sogni e realtà, in bici incontra la precarietà del lavoro, l’assurda inconsistenza delle forze dell’ordine, la lotta tra i poveri, la saggezza dell’esperienza confinata ai margini, la mancanza di aggregazione sociale e di comprensione che la “felicità non è una marcia solitaria”.
Con questo incipit e l’intervento in diretta del regista Agostino Ferrente, si è dato inizio ai due panel introdotti dal Dipartimento DISSE de La Sapienza e da AUREA STUDIUM.
Nel primo panel:
Emanuele Felice, economista e storico, ha aperto i lavori presentando il suo ultimo libro Manifesto per un’altra economia e un’altra politica, sottolineando come la felicità sia necessariamente legata al superamento delle disuguaglianze, al mantenimento dei diritti e alla condivisione dei beni comuni.
In che modo l’economia può tornare a servire la politica democratica e l’etica dei diritti? Cosa fare affinché lo sviluppo tecnologico ed economico imbocchi la strada dell’emancipazione e della prosperità, e non quella dell’oppressione e della miseria per buona parte dell’umanità? Ne Il Manifesto per un’altra economia e un’altra politica (Feltrinelli, 2025) c’è l’intervento di Emanuele Felice che indica la via per rispondere a questi interrogativi. Innanzitutto cambiare l’economia, orientandola su quattro punti cardinali: la creazione e la diffusione dell’innovazione (l’unica autentica via, nel lungo periodo, per la prosperità); la riduzione delle disuguaglianze, sia quelle economiche nel lavoro, nei redditi e nella ricchezza, sia quelle generate da altre forme di discriminazione, culturali e politiche; la tutela degli ecosistemi, con politiche ambientali centrate sull’innovazione e sulla sinergia fra partecipazione sociale e intervento pubblico, da affiancare ai privati e al terzo settore; e come principio vivificatore di questi obiettivi, che dà valore tanto alla competizione quanto alla cooperazione, la partecipazione, sociale, economica e politica, affinché ogni persona possa pienamente realizzare se stessa.
Occorre però anche cambiare la politica. Questo significa, fra l’altro, modificare la forma di governo, le leggi elettorali, il finanziamento e il funzionamento dei partiti, sapendo ovviamente che la strada non è mai sicura, non vi è una formula certa nella storia, ma che (come per l’economia) vi sono norme e condotte che servono ad aumentare le possibilità che si consolidi una sana e libera democrazia. Cambiare la politica significa anche tenere viva la speranza di un ordine internazionale fondato sulla cooperazione e sullo stato di diritto, premessa per una riforma davvero incisiva delle regole economiche globali e del capitalismo, una speranza ancora più essenziale nei venti di guerra. E cercare di compiere passi concreti per arrivarci: passi economici, anche, innanzitutto, come la lotta alla speculazione finanziaria, accordi per tassazioni progressive, per l’equità ambientale, per la condivisione delle conoscenze: in modo da combattere efficacemente le disuguaglianze, mettere in campo politiche adeguate per l’ambiente, promuovere la creazione e la diffusione dell’innovazione; salvare il commercio globale e assicurare la pace (en passant, è l’esatto contrario di quello che sta avvenendo).
Joselle Dagnes e Luca Storti hanno presentato il loro lavoro su Sociologia del Lavoro n.171 dove è anche presente l’articolo di Gilda Morelli e Gabriella Natoli su “Le conseguenze della felicità negata. Antiwork e fuga dal lavoro secondo Domenico De Masi”.
Joselle e Luca si sono chiesti quali siano le modalità con cui i lavoratori manifestano ostilità verso il lavoro. Nella relazione il tema è stato affrontato attraverso un’analisi empirica dei post più popolari pubblicati in una comunità online anti-work, ospitata su Reddit. Sono state identificate diverse categorie di anti-workers, definite in base alla posizione nei confronti del lavoro/anti-lavoro e al fatto che le azioni siano individuali o collettive. Hanno messo in luce le interazioni tra le rivendicazioni strutturali – come bassi salari, condizioni di lavoro precarie e insicurezza occupazionale – e l’aspirazione a ridurre la centralità del lavoro nella vita quotidiana. L’analisi contribuisce al più ampio dibattito sulle trasformazioni contemporanee del lavoro, sottolineando l’importanza di approfondire le diverse dimensioni di un fenomeno complesso come quello dell’anti-work.
Fabrizio Pirro e Andrea Ciarini hanno ricordato l’importanza di un testo come La Felicità negata di Domenico De Masi e hanno posto l’accento su quanto la sociologia del lavoro possa fare per fornire nuove strade interpretative al concetto di lavoro e alla sua negazione.
L’intervento di Gilda Morelli e di Gabriella Natoli Ai confini della felicità ha posto l’accento sul valore creativo dell’ozio al fine della necessità di esplorare nuove strade capaci di contrastare la mercificazione dello spazio fisico e mentale del tempo liberato dal lavoro. Quel tempo liberato dal lavoro — che sia per disoccupazione, automazione o scelte individuali più o meno consapevoli o obbligate— va visto non come vuoto o problema, ma come importante spazio di possibilità; uno spazio che può essere riempito di significati nuovi, se sostenuto da politiche adeguate, da un mutamento culturale e da una diversa architettura dei diritti. È in questa cornice che il tema della felicità acquista valore critico: non si tratta di evadere dalla realtà, ma di ridisegnarla a partire da ciò che le persone considerano oggi “una vita che valga la pena di essere vissuta”.
Nel secondo panel:
Giovanni Mari, filosofo del lavoro, si è soffermato sulla tesi di De Masi che non ci può essere progresso senza felicità, declinandola sul piano del rapporto tra persona e lavoro. In questa prospettiva, dopo la Great Resignation, il Quiet Quitting, il Great Burnout e l’Antiwork, la tesi risulta largamente anticipatrice di importanti fenomeni sociali, come lo sono state anche le idee di ozio creativo e la previsione dell’importanza del telelavoro da De Masi ha variamente sostenute. Ma le tesi sulla felicità non sono solo uno strumento di ermeneutica sociale od un appello ad una vita equilibrata, ma un originale strumento di analisi e di critica teorica delle patologie della nostra società. L’infelicità viene considerata, infatti, come un aspetto ineliminabile della crescita sin dalle pagine della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith, l’opera che ha culturalmente fondato la moderna società capitalistica. Nel libro, il lavoro parcellizzato e la stupidità del lavoratore causata dalla ripetizione per tutta la vita di un’insignificante operazione vengono giustificati in nome di un’etica del sacrifico e di una infelicità socialmente strutturali, che sappiamo non essere in alcun modo equamente distribuite e che una diversa idea di lavoro e di ozio ci permette di rifiutare.
Patrizia Cinti ha dato una visione di futuro parlando delle nuove possibilità occupazionali e professioni del futuro che non possono prescindere dal piacere legato a ciò che si intende fare e dalla necessità di imparare a mettere in pratica studi e azioni che potrebbero essere apparentemente di scarsa utilità.
Assunta Viteritti ha concluso, cambiando la scaletta che prevedeva una sua riflessione su L’educazione alla felicità, con la lettura di un suo scritto relativo alla violenza di genere, titolato Indicibile e visionabile al link https://www.acrinews.it/2025/05/31/indicibile/
Ai due panel, prima del saluto finale con aperitivo, è seguito il concerto live di Andrea Satta, musicista e protagonista del film di Agostino Ferrente Il Coupon della Felicità, proiettato in sala prima dell’apertura dei lavori.
Un’esperienza di pensiero condiviso
L’incontro non ha cercato risposte semplici, né formule consolatorie.
Ma ha prodotto un sapere condiviso, capace di restituire profondità al discorso pubblico sulla felicità, riportandolo su un terreno scientifico, di possibili nuove domande, esplorazioni interdisciplinari e di contaminazioni culturali.
Ne è emersa una visione forte e non comune che:
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la felicità non è un lusso privato, ma un diritto politico e culturale;
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la felicità non può essere garantita solo dal mercato, ma va costruita collettivamente, attraverso politiche del tempo, del lavoro, della cura, della solidarietà, dell’uguaglianza delle opportunità, dell’ambiente e dei diritti umani;
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ripensare la felicità oggi significa ripensare l’intero progetto di società, per quello occorre mettere insieme le scienze sociali con altri ambiti artistici e culturali che aiutino a impostare domande utili sul cammino migliore e possibile verso la felicità.
Il format e la condivisione
Il format -film, panel, concerto e momento conviviale finale- è un format noto a AUREA STUDIUM, ereditato da anni di organizzazione di seminari e convegni con il sociologo Domenico De Masi. La folta partecipazione che ha riempito la Sala del Centro Congressi de La Sapienza ha testimoniato l’interesse di studenti, docenti e professionisti.
Le persone, relatrici e relatori, che vi hanno partecipato con grande entusiasmo, si sono rese disponibili a proseguire il lavoro di studio e ricerca con AUREA STUDIUM sui temi affrontati nell’incontro.
IL FILM E IL CONCERTO
La riflessione è preceduta dalla visione del corto musicale Il coupon della felicità di Agostino Ferrente ed è seguita dal concerto di Andrea Satta, interprete del film.